13 Guidobaldo del Monte nel Granducato di Toscana e la scuola roveresca di architettura militare

Francesco Menchetti

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10.34663/9783945561218-14

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Menchetti, Francesco (2013). Guidobaldo del Monte nel Granducato di Toscana e la scuola roveresca di architettura militare. In: Guidobaldo del Monte (1545–1607): Theory and Practice of the Mathematical Disciplines from Urbino to Europe. Berlin: Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften.

Guidobaldo del Monte (1545–1607) intraprese a ventun’anni la sua carriera militare con una missione in Ungheria al fianco di Aurelio Fregoso, signore di Sant’ Agata Feltria nel ducato di Urbino. Fregoso, condottiero militare, era cognato di Chiappino Vitelli, ambasciatore in Spagna nel 1587 e rappresentante di una importante famiglia di architetti militari toscani, collaboratori di Antonio da Sangallo il Giovane, tra cui ricordiamo Alessandro Vitelli che lavorò a Firenze alla fortezza da Basso, e Ferrante Vitelli (Bonardi 2007) impegnato invece nelle fortificazioni della Serenissima. Fregoso, al fianco dei senesi, prese parte nel 1553 a numerose spedizioni in Valdichiana e alla vittoria di Chiusi del 1554.1

Per Guidobaldo del Monte e suo figlio Orazio lo stato di Toscana diverrà familiare: il primo infatti, in qualità di ingegnere militare, nel 1589 si recò nel Granducato per effettuare la perlustrazione delle fortificazioni, mentre il secondo negli stessi anni divenne provveditore della fortezza di Pisa. Anche se non sappiamo quanto il Fregoso avesse potuto influenzare le conoscenze di architettura militare di del Monte, è invece chiaro che il signore di Sant’Agata fu uno dei primi capitani militari a suggerire a Guidobaldo di recarsi al servizio dei granduchi, decisione che d’altronde avevano già preso numerosi architetti urbinati come Giovan Battista Belluzzi,2 Baldassarre Lanci3 e Simone Genga.4 Nel 1566 Fregoso e del Monte presero parte ad un’azione militare alla guida di 3.000 fanti inviati dal duca di Toscana contro i Turchi, i quali avevano sferrato un attacco in Ungheria contro Massimiliano I.

La difesa organizzata dalla Toscana medicea della seconda metà del XVI secolo, nelle vicinanze non rassicuranti del ducato d’Urbino,5 dello Stato Pontificio e dello Stato dei Presìdi in mano agli imperiali, s’imperniava su due figure principali, quelle di Baldassare Lanci6 e di Bernardo Buontalenti7 e su di un programma ancora quattrocentesco di fortificazione di tutti i centri che rivestivano una qualche importanza. Si trattava di un criterio dispersivo e antieconomico che non intaccava i valori dell’edilizia locale, spesso necessariamente adattata a manufatti precedenti non sostituibili totalmente o a caratteristiche orografiche speciali. Si vedano gli espedienti quali il fiancheggiamento insistito, la rottura e le angolazioni tenagliate del pentagono montano di San Martino in Mugello, iniziato dal Lanci il 30 giugno 1569, quelli di Sansepolcro e di Radicofani del 1556, nonché l’esempio coevo e assimilabile di San Quintino in Francia, opera del 1554 dell’architetto urbinate Giacomo Fusti Castrioti. D’altra parte si possono ricondurre a Bernardo Buontalenti, di una generazione più giovane rispetto al Lanci, il forte di Belvedere e in ultimo le opere da lui realizzate a Siena, a Livorno, a Grosseto e a Terra del Sole.

Come anticipato il tentativo da parte di Cosimo I de’ Medici d’indebolire il vicino Stato d’Urbino, sottraendo ad esso le menti più geniali nel campo dell’ architettura militare,8 in particolare dopo l’annessione dello Stato di Siena, iniziò con l’arruolamento di Giovan Battista Belluzzi (1506–1554), Giovanni Camerini, Baldassarre Lanci (1510–1571), Simone Genga, per poi terminare con quello di Francesco Paciotto (1521–1591) e Guidobaldo del Monte. Alle ragioni tecniche si unirono quelle strategiche e spesso il Granducato e la Repubblica di Lucca preferirono convocare ingegneri che non avessero legami diretti con il territorio. Infatti, il 31 gennaio 1547, il segretario dell’Officio sopra la fortificazione della Repubblica di Lucca riferendosi al Belluzzi scrisse che desiderava avere “qualche persona da bene di loco non sospetto”9 e di cui ci si potesse fidare.

Sicuramente nel caso di Guidobaldo del Monte, il fratello Francesco Maria del Monte (1549–1627), figura eminente di diplomatico nella corte toscana, eletto cardinale nel 1588 sotto il pontificato di Sisto V, ebbe un ruolo fondamentale affinché Guidobaldo stesso e suo figlio ricevessero un incarico nel Granducato.

Ferdinando I, divenuto Granduca dopo la morte di Francesco I, lasciò a Giulio Parigi la realizzazione degli affreschi dello “Stanzino dove sono li strumenti da mattematica e carte di cosmografia e altro,” dove sono raffigurate le macchine da guerra e gli strumenti idraulici ispirati da Filippo Pigafetta,10 autore dell’edizione volgare delle Meccaniche di del Monte. Nel 1588 Francesco I de’ Medici, come riferisce il Carteggio Universale, Mediceo del Principato,11 veniva informato dai suoi ambasciatori romani sull’andamento degli affari e sugli impegni del cardinal Fancesco Maria del Monte il quale, a sua volta intratteneva buoni rapporti con il cardinal Montalto. Quell’anno il Granduca affidò l’incarico di perlustrare lo stato delle fortezze di Portoferraio, Grosseto e Terra del Sole, a Carlo Teti (1569) (Napoli 1529—Padova 1589). L’ingegnere militare napoletano agì in accordo con Francesco Montaguto, castellano a Portoferraio,12 con Benedetto Merenghi, provveditore a Livorno, e con Giovan Battista Picchesi responsabile delle mura di Terra del Sole. A Portoferraio Montaguto trovò alcune difficoltà nell’avviare le opere: “la mia parola non passava in capitolo,”13 commenterà; invece a Grosseto i lavori procedevano con una certa solerzia.14

Il granduca attraverso l’“Officio del Reggimento,” i “Capitani di Parte Guelfa” e lo “Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche,”15 riservava particolare attenzione sia alle città di confine, che al progetto per un’arteria trans-appenninica da realizzare in accordo con Camillo Borghesi, vice-legato di Bologna, e con il cardinal Montalto. Camillo Borghesi, il 19 novembre 1588, scriverà da Bologna al Granduca: “Havendomi comandato Monsignor Illustrissimo Cardinal Montalto ch’io trattassi con questi Signori del Reggimento l’accomodare questa strada per Fiorenza a uso delli Carrozzi;”16 in seguito la realtà dei fatti sarà un’altra e i problemi economici faranno rinviare i lavori.

Gli interessi del cardinal del Monte, fratello di Guidobaldo, per i temi della guerra e della fortificazione sono documentati in un Memoriale sulle fortezze diviso in sedici punti e scritto da Balduino Massa appositamente per il cardinale. Nel Memoriale si ricorda che la fortificazione sarà tanto più efficace con i bastioni e le cortine quanto più “se potrà defender con manco [meno] gente assai.”17 Balduino Massa descrive le tecniche da utilizzare per la manutenzione e l’organizzazione dei fossi, dei soldati, delle mine, delle contramine e porge attenzione all’effetto di un particolare genere di palle di artiglieria di tipo esplosivo che, diversamente dalle ordinarie, erano in grado di “crepare” o esplodere una volta raggiunto l’obiettivo: il campo avversario oppure un vascello. Il quindicesimo punto del Memoriale si sofferma sul progetto di un nuovo canale per la città di Pisa, all’epoca porto di mare, attraverso il quale fare arrivare le navi percorrendo l’Arno oppure, in alternativa, sfruttando il canale vecchio di Livorno, con imbocco da Porta a Mare. Questo canale avrebbe permesso i nuovi piani urbanistici di Pisa favorendo la navigabilità fino a Firenze e “reparato [d]alle inundazioni [che] è solito da fare” l’Arno.

13.1 Guidobaldo e la scuola di ingegneria militare di Urbino

Benché Guidobaldo del Monte sia prevalentemente noto come scienziato, matematico e astronomo, viene ricordato nell’Abecedario architettonico dal pesarese Domenico Bonamini (Bonamini 1996) come capostipite della terza generazione di architetti civili e militari formatisi presso la corte roveresca sotto Francesco Maria II della Rovere. Gli elementi teorici che costituivano il fondamento delle fortificazioni venivano generalmente insegnati insieme alla matematica e alla meccanica, e a tal proposito si deve ricordare che Guidobaldo nelle Meditatiunculae analizzava il moto e la direzione dei proietti.18 Guidobaldo si formò presso Federico Commandino (1509–1575), ritenuto padre della scienza urbinate (Sinisgalli 1984) e autore di un’edizione e commento del Planisfero (Commandino 1558) di Tolomeo il quale influenzò l’opera di numerosi trattatisti di architettura, tra i quali anche l’inglese John Dee, scienziato e astrologo, primo traduttore di un estratto del De re aedificatoria nel suo Mathematicall praeface, pubblicato a Londra nel 1570. Con Giovan Battista Commandino, ingegnere militare padre di Federico, nel 1507 Guidubaldo I da Montefeltro diede inizio alle nuove mura “alla moderna” di Urbino, formate da nove bastioni. Il cantiere giunse a compimento nel 1525 grazie al Commandino e a Bartolomeo Centogatti,19 Lucantonio Biancarini, Francesco Girolamo Guidi e Girolamo Galli; sicuramente fu da tale contesto che si formò quell’ambiente di ingegneri militari che esercitò un’influenza su Guidobaldo del Monte.

La scuola urbinate ebbe come suoi capisaldi Francesco Maria I della Rovere, autore dei Discorsi Militari (Della Rovere 1583), Girolamo Genga e proseguì con numerosi allievi per un lungo periodo fino alla devoluzione dello Stato alla Santa Sede, come testimoniano i trattati di architettura militare rimasti manoscritti e conservati alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro e al Palazzo ducale di Urbania. In uno di questi manoscritti, senza autore, oltre alla tecnica poliorcetica urbinate, all’avanguardia nella penisola nel Cinquecento, si cita anche la trattatistica francese e i precetti di Sébastien le Preste, marchese di Vauban (1663–1707) ingegnere al servizio di Luigi XIV, che sopravanzò la scuola italiana grazie alla nuova tecnica della difesa decentrata.20

Gli “allievi” di Guidobaldo del Monte, architetti della terza generazione, furono Muzio Oddi,21 Troiano Arcangeli, Francesco Ondedei, Francesco Guerrini, Giovan Battista Bernabei e Nicolò Sabbatini. Coloro che appartennero alla quarta generazione, e che continuarono a lavorare soprattutto nello Stato della Chiesa dopo la devoluzione del ducato urbinate, furono invece Almerico Remoli Almerici, Girolamo Arduini II, Paolo Emilio Mainardi e Giovan Battista Zanchi II,22 i quali operarono secondo le linee di quella scuola che aveva come punti di riferimento Girolamo e Bartolomeo Genga, Filippo Terzi23 e Nicolò Sabbatini. Alcune annotazioni manoscritte di autore anonimo, conservate presso la Biblioteca Passionei di Fossombrone, rappresentano le esercitazioni di disegno di giovani ingegneri urbinati intenti a studiare i fronti bastionati con spalle ad angolo retto e a coda di rondine.24

L’incarico di ingegnere militare include diverse abilità professionali che vanno dal muratore al legnaiolo, all’architetto; si dovrà attendere il secondo ventennio del Seicento per avere una graduale trasformazione nell’affermarsi del profilo degli ingegneri militari in base anche alla maggiore specializzazione, risultato di un notevole avanzamento negli studi matematici e di meccanica, che ad esempio in Spagna si consolidò nel Collegio di Segovia.25 Solamente nel 1817 con Pio VII il corpo degli Ingegneri pontifici di acque e strade vennero istituzionalizzati, prima che altrove nelle Scuole di Ferrara e di Roma.

Nel 1828 il conte Giuseppe Mamiani, vicesegretario dell’Accademia pesarese e autore degli Elogi storici di Federico Commandino G. Ubaldo del Monte (Mamiani 1828), annovera tra i più celebri architetti urbinati Bramante, Raffaello e Paciotto, affiancandoli a Giovan Battista Commandino, al veneto Michele Sanmicheli e al bolognese Francesco De’ Marchi.

Francesco Maria I della Rovere, anch’egli esperto in ingegneria militare, nei suoi Discorsi Militari (Della Rovere 1583) citava tra i più celebri architetti militari Antonio da Sangallo il Giovane, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, tralasciando di citare però quelli rovereschi.

Il mestiere delle armi sostenne l’economia del Montefeltro sin dal Quattrocento. Il più importante architetto militare al servizio di Federico da Montefeltro fu il senese Francesco di Giorgio Martini, il cui nome è legato a quel periodo di architettura di transizione in cui si passò dalle fortezze medievali caratterizzate dalle torri circolari ai bastioni angolari scarpati. Francesco di Giorgio fornirà l’idea dei baluardi e dei capannati e riprenderà il concetto di fiancheggiamento; il Sangallo introdurrà quello delle casematte con troniere biconiche e del corridoio di servizio; Michelangelo, maestro del Buontalenti, quello dell’assorbimento elastico dell’urto; il Tartaglia quello del tiro di rimbalzo ed infine, come sostiene Cassi Ramelli, Galileo Galilei introdurrà i principi “della mutua visibilità delle varie parti della fortezza e della necessità dell’abolizione di ogni angolo morto” (Cassi Ramelli 1964, 359–360).

13.2 Del Monte e il rilievo delle fortificazioni

Nel 1564 Giacomo Fusti Castrioti, autore del trattato Della fortificazione delle città, stampato a Venezia e sovrintendente alle fortezze del re Arrigo in Francia, descrisse tra i primi la ‘prospettiva soldatesca’ e nonostante egli parli di prospettiva, le tavole che accompagnano il testo sono in realtà assonometrie militari. In quest’opera per la prima volta la “proiezione parallela obliqua viene esplicitamente contrapposta alla proiezione rinascimentale” (Scolari 2005, 28). Questa prospettiva soldatesca viene anche chiamata prospettiva cavaliera26 per la sua associazione con il cavaliere o piattaforma, corpo di fabbrica militare che da Bartolomeo Genga27 in poi, con la piattaforma del baluardo di Provenza a Vittoriosa (Malta), viene interposta tra due bastioni.

Belluzzi, allievo di Girolamo Genga, nella Nuova inventione di fabricar fortezze (Belici [Belluzzi] 1598, 1–6) parla di una prospettiva che “serve alla pratica […] perché avremo bisogno di vedere la cosa tutta intera, spiccata, misurata, qual co’ le seste si possa trovare la verità precisamente.”

Guidobaldo del Monte, a proposito delle fortezze di Toscana, in una lettera autografa e sinora inedita rinvenuta nel corso di queste ricerche, descrive due disegni nei quali viene rilevata, in aggiunta alle fortificazioni, anche l’orografia del sito, ossia il monte Roncaticcio nel Mugello, una montagna dalla quale si sarebbero potute controllare la campagna circostante e la fortezza medicea di San Martino, caratterizzata da sette bastioni e con il rilevante perimetro di un miglio. Dal momento che non è stato rinvenuto il disegno di San Martino, attraverso la sommaria descrizione della fortezza si può dedurre che Guidobaldo stesse studiando le caratteristiche del monte Roncaticcio avvalendosi di un rilievo, finalizzato al calcolo della gittata dei proiettili che avrebbero potuto colpire la cittadella stessa, con traiettorie “paraboliche,” già studiate nelle Meditatiunculae. Guidobaldo avrebbe potuto avvalersi di uno dei numerosi strumenti messi a punto in quegli anni: lo squadro agrimensorio a otto fenditure, di cui tratta nelle stesse Meditatiunculae, oppure il “Distanziometro” inventato da Baldassarre Lanci, di cui un modello è conservato al Museo Galileo di Firenze. La tavoletta pretoriana, maggiormente diffusa in quegli anni, non sarebbe stata utilizzabile in questo caso a motivo dei forti dislivelli.

Gli strumenti di misura in uso per tracciare le distanze e rappresentare le piante sono ricordati nella trattatistica e si basavano sulla triangolazione. Alberti nel De re aedificatoria (II,1) nonostante l’assenza di rappresentazioni grafiche nel trattato, suggerisce agli architetti il disegno in pianta e prospetto, come descritto nella seconda edizione della traduzione in volgare di Cosimo Bartoli: il pittore si sarebbe dovuto preoccupare delle luci e delle ombre mentre l’architetto “fa risaltare in fuora i rilievi mediante il disegno della pianta” con “verissimi scompartimenti fondati sulla ragione” (Bartoli 1565, 36). I recenti studi svolti sui sei testimoni della Descriptio Urbis Romae28 hanno chiarito che “l’horizon,” disco di legno o di metallo destinato al rilievo scultoreo, non poteva essere utilizzato per il rilevamento architettonico, come avvallato in precedenza da alcuni studiosi (Borchi and Cantile 2003, 152), mentre per questa operazione era indispensabile disegnare un cerchio su un foglio da disegno e impiegare un raggio mobile.29 Mariano di Jacopo, detto il Taccola, nella Nova Scientia descrive l’utilizzo del quadrante, strumento citato in seguito anche da Egnazio Danti,30 professore di matematica presso lo Studio bolognese. Nel 1558 Baldassarre Lanci, nell’intento di ottenere un nuovo sistema di misurazione, inventò un “Distanziometro.”31 montando insieme il quadrato delle ombre, una brugola, la scala graduata e il planisfero geografico. Uno strumento simile venne proposto anche da Girolamo Maggi e Giacomo Castrioti (Maggi and Castriotto 1584) nel Della fortificazione della città.

Finora non si era a conoscenza di quale fosse stato l’effettivo impegno di Guidobaldo in Toscana, ad eccezione del fatto che l’architetto ricevette l’importante incarico di visitare le fortezze e le città del Granducato insieme a Donato Dell’Antella, provveditore generale delle fortezze. Grazie alla lettera autografa datata 15 luglio 1589,32 in cui si parla dei disegni sopra descritti, si ha la testimonianza scritta di un Guidobaldo intento ad utilizzare gli strumenti da disegno per eseguire piante e alzati dei fronti bastionati. Bonaiuto Lorini nel Delle fortificazioni […] libri cinque (Lorini 1597) descrive con estrema chiarezza questo genere di disegno:

Dovendo così fatte prospettive mostrare d’appresso la loro altezza; perciò si formano tutte con le linee parallele sì per altezza, come per larghezza di qual si voglia fabbrica, posta però perpendicolare sopra il piano […] tirando le linee, che caschino perpendicolari, sì tirate in infinito venghino sempre tra di loro parallele (Scolari 2005, 28).

Guidobaldo del Monte nel Planisphaeriorium Universalis theorica (Monte 1579, II, 57), commentando il Planisfero di Juan de Rojas, rileva come l’autore eviti di spiegare quale dovesse essere la posizione dell’occhio. L’introduzione al primo libro dei Perspectivae libri sex,33 dedicata all’architettura e all’analisi delle leggi dell’ottica, fu consultata dagli ingegneri militari del XVII secolo interessati a risolvere la problematica dell’angolazione del fianco nei bastioni. La questione del fianco produrrà di fatto due ben distinte scuole di pensiero, quella sangallesca che consigliava l’utilizzo di bastioni a spalla retta e l’altra, legata alla forma ad angolo acuto dei bastioni che riscuoterà maggior successo, soprattutto nel Seicento, con Vauban e la scuola francese (Martella 2003, 299–304).

13.3 Del Monte Soprintendente delle fortificazioni medicee di
Pisa, Livorno, San Piero a Sieve e Terra del Sole

Prima di conoscere nel dettaglio il viaggio effettuato da Guidobaldo in veste di architetto militare nella Toscana medicea, della durata approssimativa di un mese e avvenuto nel 1589 e non nel 1588 come sostenuto finora, si deve sottolineare che questa non fu l’unica occasione in cui il del Monte intervenne quale esperto di ingegneria militare e idraulica. Guidobaldo in precedenza tentò di partecipare alla battaglia di Lepanto, ma sappiamo che purtroppo un’improvvisa malattia lo costrinse a rinunciare al viaggio soggiornando a Palermo. Nel 1587 dopo essersi occupato della fabbrica del nuovo porto (De Nicoló 2005) e dei condotti di villa Miralfiore, iniziò a Pesaro una complessa opera idraulica che fu in grado di far innalzare l’acqua dal livello del fiume Foglia al giardino del Barchetto.34 Del Monte, dopo essere stato eletto nel Consiglio cittadino il 17 febbraio 1587,35 in sostituzione del padre intervenne per volontà del duca quale “eletto alla fonte”36 al fine di offrire il proprio parere sulla fabbrica della fonte pubblica, ovvero la nuova fontana di piazza costruita in concomitanza con la ristrutturazione dell’acquedotto cittadino. Antonio Brancati (2000, 104–106, n. 8), nel recente saggio dedicato a questa importante fabbrica roveresca, descrive il sistema di approvigionamento idrico a Pesaro dall’antichità in poi, ma non ricorda l’intervento di del Monte, il quale dal 1587 al 159137 fu responsabile dei lavori insieme a Giulio Cesare Mamiani, Carlo Macigno e Giacomo Ciarlatino “soprastante alla fonte et fabbrica.”

Per quanto riguarda il Granducato, Francesco Montaguto, provveditore della fortezza di Livorno nonché collaboratore nel 1565 di Aurelio Fregoso,38 nel giugno del 1589 si confrontò con una commissione di architetti e ingegneri militari in visita ufficiale in Toscana guidata da Guidobaldo del Monte e accompagnati da Donato Dell’Antella.

A Livorno i cantieri erano ostacolati dal mare, soprattutto nel periodo invernale, quando trascinava via i materiali con “grandissima dificultà di aque et rovinamenti di terra.”39 Questa situazione è documentata dal disegno non firmato, sinora inedito, eseguito in occasione dei lavori ai condotti d’acqua del porto di Livorno, un tracciato inviato da Michelangelo Bandino a Piero Usimbardi, primo segretario del Granduca.40 A Livorno, il porto più importante del Granducato, era impegnato un ingente numero fra muratori, spianatori, fabbri, legnaiuoli, stallieri insieme a “quelli che vanno con le carette di cavalli,” “quelli che fanno fuoco alla fornacie per ogni colta” e “quelli che fanno panchoni per metter al porto,”41 come ricorda un elenco stilato il 24 aprile 1588 da Benedetto Merenghi, provveditore di Livorno. Orazio del Monte, figlio di Guidobaldo e provveditore delle fortezze di Pisa, per favorire i dispendiosi cantieri42 guidati dal Montaguto, il 25 gennaio 158943 scrisse una lettera in cui si appellò a Belisario Vinta segretario del Granduca chiedendo l’esenzione delle gabelle del grano a favore dei livornesi.

Il 5 aprile 1589, prima dell’arrivo a Livorno della commissione guidata da del Monte, Montaguto scrisse al Granduca Ferdinando I in quanto non era in possesso di disegni comprensibili e quindi adeguati alla messa in opera della nuova fortezza che si doveva sovrapporre a quella già esistente:

Non ho né pianta, né modello di Livorno […] Ho visto il desegno che la S.V. mi ha mandato et senza vederlo in una pianta, o modello, non se può parlare con resolutione perché il vederlo così, et non veder la ragione. La forma pare brutta, poiché se non vi fossero quelle due linee che si riflettono saria un triangolo: figura da pigliarla dove la necessità sforza; et li angoli vengano acuti, et non vi essendo la scala [metrica] non posso sapere di che spalla venghano li fianchi, et senza la pianta non si puol vedere, come le canoniere venghano coperte, ne anco quanto sia il suo recinto.44

In ultimo il Montaguto concluse la missiva richiedendo un disegno in scala e la nuova planimetria insieme alla vecchia: la “pianta vechia dentro alla nova,”45 sicuramente in questo modo sarebbe stato chiaro in quale modo proseguire i cantieri.

Il 17 giugno 1588 Guidobaldo del Monte inviò una lettera46 scritta di suo pugno al Granduca di Toscana per ringraziarlo della fiducia che gli era stata accordata e in particolare per la clemenza mostrata nei riguardi di suo figlio Orazio, ingaggiato a Pisa. Orazio si occupò anche dell’organizzazione dell’esercito dislocato tra Livorno, Campiglia e Pisa e organizzò i festeggiamenti per le nozze del Granduca con la principessa di Lorena. Come avvertiva l’arcivescovo di Siena in una lettera del 29 marzo 1589, con l’aiuto di Roberto Ridolfi e di Orazio del Monte, si stava appunto preparando una festa sul ponte di Pisa con luminarie e fuochi, della durata di tre notti. Orazio era il promotore della cosiddetta “battaglia del Ponte,”47 una guerra simulata tra cristiani e turchi, “sciocchezza” secondo il vescovo, che avrebbe avuto come centro della scena una barca di musici, nave che in quei giorni i maestri d’ascia stavano preparando nel porto di Livorno.

Qualche tempo prima Guidobaldo del Monte scrisse al Granduca una lettera da Pesaro in cui gli annunciava il suo imminente arrivo:

Grazie tanto grandi son queste, che si son ricevute dalle mano di V. Al.za nella persona di mio fratello Cardinale, eccedono ogni memoria, et esempio. […] fra tanto starò aspettando che’l S. Cardinale mio fratello sia tornato a Fiorenza, per venir anch’io a far personalmente riverenza all’Altezza Sua.48

Il viaggio che Guidobaldo intraprese nel Granducato di Toscana non era mai stato indagato e, come già accennato, era stato fatto risalire fino ad ora al 1588, anno dell’incarico ufficiale quale soprintendente delle fortezze toscane. Grazie al ritrovamento di alcuni documenti originali, lettere di seguito riportate, si può oggi affermare con certezza invece che questa ricognizione delle fortezze medicee iniziò nei primi giorni di giugno del 1589.

Il primo giugno 1589 Orazio del Monte scrisse una relazione per il Granduca in merito alla visita alle fortezze svolta dal padre Guidobaldo in compagnia di altri “signori:”

Ricevei una lettera di V.S. R.ma et ho inteso il dissiderio che ha S.A.S. di fare qua degli archibusieri a cavallo […] comparvero già hiermattina [a Pisa] a bonissima hora il signor Guidobaldo [del Monte] con il Conte [Francesco] Paciotto e quelli altri signori [Donato Dell’Antella e V. Martelli] et hanno dato una vista a quello detto Paciotto voleva fare in questa fortezza e infatti si è fatto confessare che li pezzi che stanno per guardare il puntone [uno dei tre puntoni progettati in precedenza da Giuliano e Antonio da Sangallo] sono scoperti, se ne andorno a Livorno, e non havevano ordine nessuno ch’io v’andassi, si che per il meglio elessi a starmene a Pisa […] a S.A.S. et ancora dirò a V.S. R.ma come il solito è di metter le guardie alla marina e che per quanto intendo per ancora non ci è ordine nessuno, e con questo le bacio le mani restandoli servitore di cuore e pregando Iddio per ogni suo contento. Di Castello di Pisa il primo di giugno 1589/Di V.S. M. Ill.ma e R.ma, Sr., Aff.to Horatio di Marchesi del Monte.49

I documenti descrivono Guidobaldo intento a tracciare il rilievo delle fortificazioni di Pisa, Livorno, San Piero a Sieve e Terra del Sole.

Donato Dell’Antella,50 appartenente ad una nota famiglia patrizia fiorentina, nel 1587–88 oltre a soprintendere le fabbriche fiorentine, faceva parte di una commissione incaricata di visitare la Maremma senese e di bonificare le pianure di Pisa e Firenze; inoltre nel 1590 il Dell’Antella risulta coinvolto nei lavori della fortezza di Belvedere a Firenze. Dell’Antella, in una missiva,51 dichiara la sua amicizia con Francesco Paciotto (1521–1591), architetto formatosi a Urbino presso il Commandino. Paciotto, coinvolto insieme a del Monte e Dell’Antella nei lavori di Livorno, si era occupato anche di Lucca, di Portoferraio52 e di numerose fortificazioni toscane diventando ben presto, durante la seconda metà del Cinquecento, uno degli architetti militari più richiesti presso le principali signorie italiane. Venne richiamato nel Granducato per tre volte e ricevette l’incarico di Ingegnere Generale della Chiesa nel 1550.53

Il 2 giugno 1589 Giovanni da Volterra, castellano di Livorno, riferì al Granduca che Donato Dell’Antella, con Guidobaldo del Monte e altri signori, vennero alloggiati nelle stanze del castello ma, nonostante i convenevoli e gli scambi di opinioni sui progetti da eseguire alla fortezza livornese si giunse ad un nulla di fatto. Le parole del castellano dimostrano la propria totale sfiducia nell’operato della commissione e in una soluzione che potesse risolvere in breve quale strada prendere per il prosieguo dei lavori54 alla Fortezza Nuova e questo nonostante la relazione dettagliata scritta “a favore segnalatissimo” del Granduca.

A proposito della fortezza di Livorno si deve chiarire che nel 1575 il successore di Cosimo, Francesco I, decise di ingrandire il porto, come testimonia una lettera del 2 aprile 1588 di Bartolomeo Ammannati. La carta individuata nel corso di questa ricerca descrive la costruzione di una nuova fortificazione e di una nuova città. Il progetto era stato affidato a Bernardo Buontalenti che nel 1576 delineò un pentagono bastionato sul modello di quello di Pesaro, circondato da un fossato comunicante col mare.

Il circuito bastionato accoglieva la maglia ortogonale dell’impianto urbanistico. La visita di del Monte cadde nel momento in cui Francesco I e Buontalenti, a circa dieci anni dalla posa della prima pietra, trovarono necessario un maggior controllo del tracciato interno alle mura in relazione ai progressi dell’artiglieria. Nel 1590 in seguito alle visite e ai progetti di Paciotto, congiunti con la consulenza di del Monte e Buontalenti, Ferdinando I decise di trasformare il bastione nord-est in una grande fortezza chiamata Fortezza Nuova.

Nel 1571 qualcosa di analogo era accaduto ad Ancona con il Paciotto che, con l’avvallo di Guidobaldo II della Rovere, aveva realizzato un modello per il campo trincerato (fabbrica bastionata autonoma e avanzata in direzione della campagna) in aggiunta alla fortezza anconetana di Antonio da Sangallo il Giovane. Paciotto fu tra l’altro anche autore di un lazzaretto fortificato ad Ancona, sinora quasi ignorato (Menchetti 2007, 65–80) e di un trattato manoscritto sui metodi di rilievo con lo squadro (Ragni 2001).

A Livorno nel 1587 Buontalenti prospettava di chiudere alla gola, tramite un tracciato bastionato, il baluardo di Sant’Andrea per consentirgli l’autonomia difensiva propria delle fortezze. Egli progetta un’ulteriore articolazione in fronti bastionati e accentua il valore militare della strada Giulia con la creazione di una fortezza vicino alla porta mare.

Nel 1590, sotto il governo di Ferdinando I e a seguito dei progetti degli urbinati, Buontalenti portava ulteriori migliorie alla fortificazione di Livorno, con la trasformazione prima dei baluardi di Sant’Andrea e San Francesco in fortezze autonome e poi dei baluardi San Francesco e Santa Barbara, uniti a costituire la Fortezza Nuova.

Paciotto, presente per la terza volta in Toscana nel 1589 e già attivo in questo ducato sin dagli anni ‘60, si trovò sia a Lucca che a Portoferraio nel 1589, facendo recapitare un modello della fortificazione di Portoferraio. Paciotto nell’ottobre 1588 insieme al Dell’Antella e a Clemente Piccolomini visitò le fortezze di Siena e Grosseto, per cui stilò una relazione, e in seguito anche quelle di Radicofani,55 di Montepulciano e della Valdichiana. Come testimonia una missiva del 3 marzo 1589,56 il Paciotto aveva fatto giungere un modello della fortezza di Portoferraio per mano di Domenico capomastro e Piero Rossi castellano, il quale, in seguito ai nuovi ordini, fece accomodare “il puntone per portar li sassi per la catena del porto”57 mentre si continuava a cercare una ruota da macina per il mulino.

Attraverso lo studio del carteggio degli anni 1588–89, si evidenzia il ruolo assunto dagli ingegneri militari urbinati in perlustrazione a Livorno e in definitiva si ridimensiona l’operato del Buontalenti a favore di del Monte, pur condividendo quanto scritto da Amelio Fara (1995), maggiore studioso dell’attività ingegneristica dell’architetto toscano. Fara riconosce che la “cultura urbanistica cui Buontalenti attinge […] è quella di Francesco Maria I della Rovere e di Antonio da Sangallo il Giovane, che […] recepisce dalle mediazioni” degli urbinati come “Giovanni Battista Bellucci, Baldassare Lanci […] Giovanni Camerini” e dalle informazioni giunte in Toscana dai progetti di Pesaro, ma anche delle fortezze più lontane di Malta, Ungheria e Polonia. Ora, grazie al ritrovamento di queste missive scritte da Orazio in relazione a Livorno, è stato possibile accertare anche la consulenza di Guidobaldo e il suo contributo alla fortezza livornese. Purtroppo l’assenza di disegni non ci permette di fare dei confronti più precisi e dettagliati tra gli architetti coinvolti nella progettazione. Gli elementi caratterizzanti i progetti urbinati non erano solo rappresentati dalle cittadelle pentagonali, come ad esempio nel caso di Orodea Mare con il lavoro di Simone Genga o di Szatmàr in Ungheria (oggi in territorio rumeno), ma anche dai bastioni pensati su basi geometriche che tenevano conto delle traiettorie dei proietti (che tranne nella parte iniziale non sono rettilinee come stabilito dalle regole di Niccolò Tartaglia; Tartaglia 1546, 22–23) e in ultimo dalla dislocazione della rete viaria della città.

La città ortogonale andava intesa secondo il volere del duca di Urbino e come avvenuto a Valletta, Orodea, Szatmàr, Livorno, Portoferraio e Terra del Sole, come rapidamente attraversabile da un fronte all’altro contrapposto. Per delimitare fortezze e città fortificate il pentagono era la figura geometrica preferita da Francesco Maria, da Pierfrancesco da Viterbo e da Antonio da Sangallo il Giovane58

Il perimetro urbano fortificato di Livorno è tracciato secondo linee difensive al massimo di 750 braccia, allineando i cavalieri con le facce dei baluardi vicini. I baluardi si sviluppano maggiormente verso la città lungo la loro linea capitale e le casematte sono ritirate verso l’interno come nelle modifiche attuate da Bartolomeo Campi59 nella paciottesca cittadella di Anversa.

Il 22 agosto 1589 Guidobaldo era già rientrato a Pesaro dopo aver visitato la fortezza medicea di San Martino (Taddei 1972) a San Piero a Sieve nel Mugello ed aveva, come anticipato, rilevato il territorio comprensivo del monte di Roncaticcio, da dove si sarebbe potuto colpire la fortezza e la campagna circostante. Dal Mugello l’architetto passò nella Romagna toscana, perlustrando la fortezza di Terra del Sole. La fortezza di San Martino era collocata in una zona strategica sull’asse viario trans-appenninico, cerniera tra Granducato e Stato pontificio, non troppo lontano dai castelli-villa di Cafaggiolo e Trebbio. La fortezza, fondata il 30 giugno 1569 su disegno di Baldassarre Lanci, era stata eretta sulla collina che sovrasta l’abitato di San Piero a Sieve nel lato sud della valle a circa ventisei chilometri da Firenze, su un terreno caratterizzato da una consistente massa rocciosa e ricco di acque di infiltrazione. Ai sette bastioni di mattoni venne aggiunto un mastio a pianta pentagonale irregolare; tre dei bastioni erano a tenaglia, secondo le teorie del Sangallo già applicate ad Ancona (Fiore 1986). Nella parte esterna del mastio si trovavano undici cannoniere a due cannoni e una ad un solo cannone. Come scrive la Romby (2007, 27) la vera novità era costituita in particolare dalla porta “a basso,” a nord, a un livello inferiore rispetto all’altra “a monte,” a sud.

La fortezza di Terra del Sole nella Romagna Toscana venne anch’essa eretta ex novo nel 1564, come quella di San Martino, dopo il viaggio di perlustrazione di Giovanni Camerini e Lorenzo Perini. Negli anni 1570–71 la fortezza venne proseguita da Baldassarre Lanci, in collaborazione con Simone Genga, suo aiutante anche per i cantieri di Radicofani, Grosseto e San Martino. Dopo la morte del Lanci il cantiere passò a Simone Genga che, nel maggio 1572, ne scavava i fossi e ultimava le aggiunte ai baluardi pensate dal Lanci. Nel 1578 dovevano essere ancora terminate parte delle mura e la torre presso la porta del Soccorso, corpo di guardia e deposito di munizioni.

Mentre del Monte rientrava verso il pesarese, una volta portata a termine la propria missione, a Pisa restava Orazio del Monte con l’incarico di provveditore; in quei giorni veniva presentato il modello60 in legno della fortezza della città, proprio come avevano sottolineato Paciotto e del Monte. Scriveva Montaguto al Granduca: “Non manchai andare a vedere la giunta, che si disegna fare alla fortezza di Pisa et la vidi in un modello in legno.”61

Per quanto concerneva Livorno invece, il provveditore avrebbe portato un modello al Granduca che questa volta sarebbe stato in scala,62 a differenza degli incomprensibili disegni citati nelle lettere scritte i mesi precedenti dal provveditore, quando ancora era imminente l’arrivo di Guidobaldo del Monte.

Secondo Montaguto il progetto, nato anche grazie alle osservazioni di del Monte, non sarebbe comunque stato risolutivo, ed egli avrebbe disfatto il bastione di terra riempiendo con quel materiale la fortezza murata: “Io disfarrei il bastione di terra e con quella riempirei la fortezza murata […] mi pare che si sia fatto per modo di dire, niente [nel fortificare solo un lato] et il fortificarla tutta si entra in una spesa grandissima.”63

Guidobaldo del Monte il 15 luglio 1589 scrisse al Granduca di Toscana rispetto a due disegni di fortezze:

Mand’a V.A. Ser.ma due dissegni, uno di San Martino, nel quale ho dissegnato il monte di Roncaticcio, di dove si po’batter la terra; l’altro è della Terra del Sole, sopra la quale, credo, che di già haverà inteso dal sig. Donato, e dal Cavalier Martelli, quanto restassero d’accordo, che si dovesse riferire a V.A. si che io non la fastidirò con scriverle a lungo. La supplico però, che mi perdoni s’io non l’avrò servita bene, secondo che io dovevo, et come sarebbe mio desiderio. Con tutto ciò io non potrò ricevere maggior gratia che l’Altezza Vostra si degni di comandarmi, come a Signore Obligatissimo che sarò prontissimo a metter la vita, e quant’ho al mondo in suo servitio e di tutta la casa sua. E li fo’humil riverenza, che Iddio la contenti. Di Pesaro alli 15 di luglio del 1589.64

Nonostante restino ancora in ombra diverse vicende connesse con l’attività militare e di ingegneria idraulica, nonché gli eventuali rapporti intercorsi nel 1589 a Pisa tra Guidobaldo del Monte e Galileo Galilei, questa lettera, spedita da Pesaro il 15 luglio del 1589, restituisce all’architetto la paternità dei progetti e dei rilevamenti effettuati per Terra del Sole e per la fortezza medicea di San Martino a San Piero a Sieve nel Mugello, mentre le lettere di Orazio gettano nuova luce sul ruolo del marchese di Mombaroccio per quanto riguarda i cantieri delle fortezze di Pisa e di Livorno.

Sono ancora scarse le notizie su un eventuale incontro toscano tra Galileo e Guidobaldo, in visita alle fortezze del Granducato nel 1589. Quello che è certo è che nel 1588 Galileo ricevette grazie all’intermediazione del cardinale del Monte l’incarico di lettore di matematica a Pisa, dove il figlio di Guidobaldo del Monte aveva già un incarico pubblico. Vi sono inoltre alcune lettere scritte da Galileo nel 1588, l’anno prima che l’urbinate si recasse a Pisa per le fortificazioni, indirizzate a del Monte stesso e a Cristoforo Clavio in cui sottopose alcune parti delle sue ricerche sul centro di gravità dei solidi.65 Guidobaldo proprio nel 1588 pubblicò il De aequeponderantibus di Archimede, considerandolo il testo-base per una trattazione `scientifica’ delle macchine, e di quest’opera manda una copia a Galileo. Due anni più tardi Galileo nei Theoremata circa centrum gravitatis solidorum diede una prima esposizione di alcuni casi diversi del centro di gravità. In ultimo si deve sottolineare che Galileo come Guidobaldo si interessò al tema delle fortificazioni scrivendo ben due trattati sull’argomento e uno dei due, in particolare, venne utilizzato per le lezioni che tenne a Padova a giovani esponenti delle famiglie patrizie venete molto interessati a temi tecnici e ai risvolti applicativi delle matematiche.66

Mentre questo articolo stava per andare in stampa ho individuato una lettera scritta a metà degli anni Settanta del Cinquecento da Girolamo Arduini, architetto di Guidobaldo II della Rovere, in cui si descrive un disegno di del Monte per il completamento delle fortificazioni di Pesaro ed in particolare del fossato nuovo collocato tra la controscarpa e gli spalti che circondano i bastioni. Ipotizzando che si tratti di del Monte, anche in questo caso come per le fortezze toscane sopraccitate il disegno sembra perduto, esiste però una descrizione: “Quando non si possano cavare, o ben poccho, come se sassi vivi, acque, paludi, o che molto vicina alla via al piano della campagna, come è questo nostro luogo del quale hora ci occorre di ragionare, del quale al mio parere doveria essere sì profondo come si ritrova hora il piano del fosso vecchio acciò che l’acqua non habbia scaturendo a causarci male aere, et largo conforme al parere e disegno del signor Guid’Ubaldo et havesse una giunta che in tutto ascendesse all’altezza di dieci in undici piedi.”67

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Note a piè pagina

Il Fregoso nel 1556–57 passò al servizio di Cosimo de’ Medici, quale generale della cavalleria e in seguito, nel 1565, divenne commissario delle difese di Portoferraio presso l’isola d’Elba (Dubost 1998).

Su Giovan Battista Belluzzi detto il San Marino, cfr. (Lamberini 2007), monografia arricchita da un volume di regesto dei documenti.

Guidobaldo II della Rovere duca di Urbino, nel 1558 invia due lettere a Cosimo I de’ Medici perché concedesse al Lanci il permesso di tornare al proprio servizio; una possibilità che non si realizzò. Cfr. (Menchetti 2004, 69).

La figura di Simone Genga non è stata ancora studiata in modo esauriente, si dovrebbe approfondire meglio il personaggio e le peculiarità della sua opera divisa fra Toscana e Ungheria. Si vedano gli studi di G.C. Romby in (Romby 2007).

Lorenzo de’ Medici il Giovane, detto “il Merda,” aveva tentato di spodestare i della Rovere nel 1516, ma il suo dominio su Urbino durò ben poco.

Si veda (Belluzzi 1980).

Per uno studio sulla figura di Bernardo Buontalenti cfr. (Fara 1995).

Su questo argomento cfr. (Borsarelli 1990).

La citazione del documento è tratta da Romby (2007, 23).

Archivio di Stato di Firenze (d’ora in avanti ASF), Mediceo del Principato, 797, II, c. 591r, antica numerazione.

ASF, Mediceo del Principato, 797, II, c. 364 r, antica numerazione.

Ibidem.

“Di Grosseto io ne sono rimasto cotanto contento, che io stesso non lo dire: mi perdoni si io passo troppo inanzi V.A. Ser.ma ne faccio tenere bona cura, perché la bellezza della piazza, il commodo che po dar il paese lo merita, et, è, fanciulla da essere vagheggiata, et desiderata: il Signor Carlo [Teti] rassetterà per quanto mi dice lui, un poco le piaze, et restarà una bellissima fortificatione alla mia opinione,” ASF, 797, II, c. 364r

Un’integrazione tra i due uffici si ebbe con Andrea Arrighetti (1648), che alla carica di provveditore unì quelle precedenti di “Sovrintendente generale delle Fabbriche e Provveditore generale delle Fortezze;” cfr. (Romby 2007, 10); inoltre (Orefice 2005).

ASF, Mediceo del Principato, 802, c. 128r, 19 novembre 1588. ASF, Mediceo del Principato, 804, c. 242r, 18 febbraio 1589.

ASF, Mediceo del Principato, 803, c. 446r.

Si veda nota 67.

Gli studi sulle mura di Urbino risultano un po’ sorpassati mentre le ricerche più recenti prendono in considerazione solo alcune parti del fronte bastionato. Gianni Volpe affianca Bartolomeo Centogatti al Commandino, mentre Francesco Paolo Fiore cita Biancarini, Guidi e Galli. Nei prossimi studi ci si auspica di approfondire e chiarire sia i ruoli e le responsabilità dei singoli ingegneri, che gli aspetti cantieristici ed economici delle fortificazioni. Cfr. (Volpe 2007; Marconi et.al. 1978).

L’autore descrive il modo da seguire per disegnare una città pentagonale come Pesaro: “Modo di fortificare all’italiana in pentagono. Fatta la scala di 80, 90, 100 parti eguali che significano pertiche, e prese fra le punte del compasso pertiche 52, 4 piedi, e 3 diti, si formi il circuito, e si divida in 5 parti. Riesce nel pentagono la ficcante di 63 pertiche e un piede, la radente di 58 piedi e 7 diti. La fronte di 21 6 piedi e 9 diti. La distanza de’ lati di 11, un piede e 9 diti. Il lato esteriore di 854 piedi e 4 deti, et il fianco prolongato di 7 pertiche un piede 6 deti. Il secondo fianco di 4 pertiche, 8 piedi e 4 deti,” Biblioteca Comunale di Urbania, ms. 40, Architettura militare/trigonometria, c.n.n. La descrizione archivistica del manoscritto è di Enrico Liburdi, cfr. (Liburdi 1925).

Per Muzio Oddi si veda la Vita di Muzio Oddi pubblicata nel quarto capitolo del volume (Gamba and Montebelli 1988, 109 e sgg). Inoltre il volume dedicato al taccuino di disegni realizzati dall’architetto mentre si trovava recluso a Rocca Costanza (Eiche 2005).

Cfr. l’introduzione al manoscritto del Bonamini in (Bonamini 1996).

Per Filippo Terzi e la sua attività quale architetto civile dei della Rovere si veda (Volpe 2002).

Biblioteca Passionei Fossombrone, ms. 103, cc. 219v–232r.

Come spiega l’etimologia del termine cavaliere, cioè la posizione preminente, come quella di un uomo a cavallo, grazie alla sua maggiore altezza permette di sorvegliare i bastioni adiacenti. Cfr. (Scolari 2005, 43, n. 14).

Per i progetti d’ingegneria militare di Bartolomeo Genga cfr. (Menchetti 1999).

Cfr. (Alberti 2005).

Cfr. (Di Teodoro 2006). Inoltre si veda (Furlan 2006).

Cfr. (Vignola 1583). Sugli strumenti di misurazione si veda (Stroffolino 1999); inoltre (Borchi and Cantile 2003, 45–79, 107–136).

ASF, Mediceo del Principato, 807, II, c. 548r.

G. del Monte, Perspectivae Libri sex, nell’edizione di R. Sinisgalli (1984, 39).

Il primo luglio 1587 il conte Giulio Cesare Mamiani, favorito del duca Francesco Maria II, scriveva a Guidobaldo del Monte riguardo alla necessità di risolvere un problema idraulico inerente a una conduttura che portava l’acqua, proveniente dalle sorgenti del monte San Bartolo, alla nuova peschiera nel casino ducale del Barchetto, un giardino collocato più in alto rispetto al vicino fiume Foglia, e ubicato a ridosso delle mura cittadine tra il cavaliere di Miralfiore e il bastione del Carmine, progettati da Pierfrancesco da Viterbo. Mamiani parla di una Scrittura di del Monte riguardante “l’horologio che va nel Calamaro al Fiume.” A tal proposito il duca chiedeva maggiori informazioni sull’orologio e sulle singole parti del “calamaro,” un calamaio con la personificazione del Fiume su di uno scoglio destinato alla Corona di Spagna. Il lavoro usciva dal botteghino ducale grazie al progetto di un orologiaio tedesco e la consulenza di Guidobaldo. Nella missiva si chiedeva inoltre a del Monte, non appena ne avesse trovato il tempo, di provvedere al “condotto della Peschiera che propone mastro Lazzaro,” Biblioteca Oliveriana Pesaro (d’ora in avanti BOP), ms. 211, Lettere di diversi, c. 102 r. I lavori al Barchetto furono effettuati in concomitanza con la visita di papa Gregorio XIII, che si sarebbe dovuto recare a Padova. In quel periodo Guidobaldo del Monte ricevette complessivamente sei lettere a proposito dei lavori alle “fonti,” ossia riguardo ai “tomboli per rifare i condutti della grotta [di Miralfiore] si potrà valere di quelli che si fanno per la fonte di Pesaro,” al Barchetto e alla fontana della Libreria posta nella villa della Vedetta. I meccanismi idraulici da giardino e i relativi disegni del fondo roveresco sono stati analizzati dallo scrivente nell’intervento Orazio e Guidobaldo del Monte: dagli apparati scenici ai congegni idraulici da giardino al convegno internazionale “I Barocci tra arte e scienza,” Urbino, 5–6 ottobre 2012, di cui si attende l’uscita degli atti.

BOP, Archivio Storico Comunale di Pesaro, Atti del Consiglio Comunale, 1580–1609, II C 1, cc. 65v–66r.

Ibidem, II C 1, c. 67v.

Ranieri del Monte era stato eletto dal duca stesso tra i Commissari della fonte pubblica, un’opera complessa che fu messa in esecuzione dal 1585 con Francesco Maria II. La fontana da collocare di fronte al Palazzo ducale doveva nascere al centro della “Piazza grande,” nel nuovo fulcro cittadino, andando a sostituire la fontana della Piazzetta del Quarto. Del Monte nel consiglio dell’11 giugno 1587 suggerì al gonfaloniere e agli altri consiglieri di eleggere, oltre al soprastante, altri due commissari, viste le frequenti assenze del Mamiani, del Macigno, e di lui stesso, inoltre propose di affidare al depositario della città i conti della fabbrica della fonte (BOP, Archivio Storico Comunale di Pesaro, Atti del Consiglio Comunale, II C 1, cc. 67v, 68v). Di seguito nel Consiglio del 15 settembre 1587 Guidobaldo del Monte, in sostituzione del padre fece un’istanza affinché s’incrementasse la spesa pubblica (Ibidem, II C 1, c. 72r). In data 11 ottobre 1587 Scipione Paduani, esattore, seguendo il consiglio del matematico ed esperto di idraulica, richiese al Consiglio l’elezione di un nuovo esattore dei dazi. Al termine del 1587, nel Consiglio dell’11 ottobre 1587 i commissari decisero di pagare i danni causati ai proprietari terrieri dalla ristrutturazione dell’acquedotto. Nel 1588 gli alti costi dei materiali provocarono di nuovo un dibattito tra il del Monte e gli altri commissari nel Consiglio presenti il 21 maggio di quell’anno. I fornaciai non fornivano più i mattoni, la “pietra cotta,” secondo il prezzo pattuito perché denunciavano l’impennata del prezzo del legname. Mentre Flaminio Clemente suggeriva di eleggere due nuovi commissari che controllassero i prezzi, del Monte era dell’avviso che questa iniziativa fosse inutile. L’architetto sostenne: “Non essere di presente necessario far elettione d’huomini, né alterare li prezzi alla pietra già cotta, perché è già fatta, ma quella che faranno, et coceranno si potranno eleggere et allhora si farà conto a penna, et calamaro del tutto,” Ibidem, II C 1c. 78r. Del Monte d’accordo con il cavalier Mazza decise di ribadire ai fornaciai il prezzo pattuito “cinquanta migliara di matoni condotti per la spiaggia di Fano a D[ucati] 4 il migliaro,” Ibidem, c. 78r. Negli anni che seguono lo scienziato si oppose all’inasprimento delle tassazioni, specie quella sul pane. La fonte fu inaugurata solamente il 13 luglio 1593 con la spesa complessiva di 12.000 scudi. L’autore del disegno della fontana purtroppo non è noto, ma dovette sicuramente essere un architetto della cerchia urbinate, vicino al matematico di Mombaroccio. Lo studio degli atti consiliari ha evidenziato per la prima volta il ruolo centrale ricoperto da del Monte nelle decisioni che duca e consiglieri intrapresero per l’acquedotto rinascimentale, un condotto che rimase attivo fino all’Ottocento. Cfr. (Brancati 2000, 106, n. 13).

Aurelio Fregoso era stato commissario delle difese di Portoferraio e condottiero militare con Guidobaldo del Monte in Ungheria, cfr. nota 1.

ASF, Mediceo del Principato, 804, c. 55r, 3 febbraio 1589.

ASF, Mediceo del Principato, 800, c. 224r, 23 ottobre 1558.

ASF, Mediceo del Principato, 797, II, cc. 490r, 491r.

Benedetto Merenghi, provveditore alle fortificazioni, stila una lista di spese destinate alle ciurme impegnate nei cantieri: cioè muratori, spianatori, fabbri, legnaiuoli, carrettieri con cavalli, stallieri, fornaciai addetti alla cottura dei mattoni, e “quelli che fanno panchoni per metter al porto,” ASF, Mediceo del Principato, 797, II, c. 491r.

ASF, Mediceo del Principato, 804, c. 198r, 25 febbraio 1589.

ASF, Mediceo del Principato, 805, II, c. 651r.

Ibidem.

“Serenissimo Signor, e pron. Mio col.mo. Agl’infiniti oblighi, ch’io devo all’At.za V. ser.ma per tanti, e tanti favori, che ella fa di continuo alla casa mia, non so per hora in che modo mostrarle altro segno dell’infinito desiderio, che io tengo di servirla, se non dedicarle un mio figliuolo per suo servitore, che havendomi fatta tanta gratia di haverlo accettato per tale, mi accresce tanto maggiormente l’obligo che io le debbo havere del che la ringratio inifinitj; et le vivo e viverò sempre obligatissimo servitore, supplicandola a comandarmj, che me ne farà gratia singolarissima. Et con ogni humiltà le bascio le mani. Di Pesaro alli 17 di giugno del 1588. Di V.A. Ser.ma Divotissimo et obligatissimo Signore. Guidobaldo de Marchesi del Monte.” ASF, Mediceo del Principato, 798, c. 795r.

“Et però disegnano il Commissario et castellano di fare un arco alla porta mare, et servendosi di molte cose che avanzorno nella venuta di V.A., calculano la spesa di S[cudi] 1620 et voriano fare una barca con musica, et poi farla combattere da Turchi” ASF, Mediceo del Principato, 805, I, cc. 513r–v.

“Grazie tanto grandi son queste, che si son ricevute dalle mano di Vostra Altezza nella persona di mio fratello hora Cardinale, eccedono ogni memoria, et esempio. Ma quanto più sono da me conosciute, tanto meno mi trovo a renderne a Vostra Altezza quelle infinite gratie, ch’io dirò. La dignità per mero, e solo favor suo conferitagli è altissima. Il modo, e l’occasione mirabile, e singolare, e la liberalità con che Vostra Altezza l’ha accompagnata, è stata sì maraviglioso, che da ogni altro che fosse venuta, fuor che dalle su magnanimità, havrebbe dell’incredibile. Resta solo per far questi segnalatissimi benefitij maggiorij, ch’ello non sdegni, che la gratitudine dell’animo mio, e della casa mia, poi che non po’ dimostrarsi in alcuna cosa proporzionata all’altezza del Benefattore, e dal benefitio si dimostri almeno, in quel che può facendo la carta dell’humilissimo, e sempre constantissimo affetto nostro, con il quale siamo perpetuamente in ogni occorrenze per esporre con ogni prontezza la vita, il sangue, in servitio di vostra Altezza e della Serenissima Sua casa. Fra tanto starò aspettando che ’l Signor Cardinale mio fratello sia tornato a Fiorenza, per venir anch’io a far personalmente riverenza all’Altezza Sua alla quale prego continuamente dal Sig. Iddio ogni maggior argumento di felicità. Di Pesaro alli 23 di dicembre 1588. Di V.A. Ser.ma Divotissimo et obligatissimo Signore Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.” ASF, Mediceo del Principato, 802, c. 500r.

Ibidem, 806, cc. 256r–v.

Le sopraccitate notizie sul Dell’Antella sono tratte dagli indici manoscritti delle Notizie storiche; i tre volumi furono compilati verso la metà dell’Ottocento utilizzando le notizie desunte dagli “spogli rossi” dell’abate R. Tanzini. ASF, Indice delle notizie storiche, scientifiche, letterarie estratte dall’Archivio Mediceo, I, pp. 55–56; Indice delle notizie storiche, scientifiche, letterarie estratte dall’Archivio Mediceo, II, pp. 146–147.

ASF, Mediceo del Principato, 805, I, c. 20r.

Piero Rossi, castellano di Portoferraio, il 3 marzo 1588 riferì al Granduca la notizia di un modello della fortezza disegnato da Paciotto ed eseguito da Domenico Capomastro, ASF, Mediceo del Principato, 885, I, cc. 44r–v.

Per una bibliografia sul Paciotto e la sua attività svolta in particolare presso Ancona si veda (Menchetti 2007).

“Qua fu il signor Donato Dell’Antella con il fratello dell’Illustrissimo Cardinale del Monte con altri signori e di alogiare in castello che per essere tutti servitori di Sua Altezza Serenissima li ricevetti volentieri e non credo si intende per questi pure [che direzione prendere con la nuova fortezza] arò caro che Vostra Signoria Illustrissimo e Reverendissimo me ne avrà se piace a Sua Altezza Serenissima, acciò sapia un’altra volta che ho da fare che tutto scrissero a favore segnalatissimo di Vostra Signoria et Reverendissimo appresso alli molti altri venuti,” ASF, Mediceo del Principato, 806, c. 272r.

A Radicofani sarebbero servite nuove casematte a quattro baluardi per un costo di 16.000 ducati, parapetti per 5.000 ducati, e “far la fortezina di petra sopra li due torroni vecchi che prima servirono per forteza che dica il conte Paciotto.” ASF, Mediceo del Principato, 800, c. 404r. Una lettera di Piero Rossi del 3 maggio 1588 informa che il primo maggio Paciotto fu a Portoferraio e che per la durata di due giorni “ha atteso a discorrere sopra l’accomodare questa fortificazione.” Le carte documentano che al Granduca piacquero i disegni di Paciotto: “Si è mostro tutto al Signor Cavalier Paciotto, et ho mandato a scoprir il Cavo la vite et fra dua hore lo manderò con un vassello ben armato” ASF, Mediceo del Principato, 798, c. 52r. In concomitanza con la visita del Paciotto a Portoferraio giunse il capitano Ulisse da Volterra, ASF, 798, c. 58r. Piero Rossi richiese al Granduca un lungo elenco di materiali da cantiere: “Corbelli, pale di ferro, acciaio, ferro, tavole d’ogni sorte, travicelli, legnami da ponti, da ripari et di tutte sorti legnami ci è bisogno; delle chiavag.e et de manichi per pale.” ASF, Mediceo del Principato, 798, c. 175r.

ASF, Mediceo del Principato, 805, I, cc. 44r–v.

ASF, Mediceo del Principato, 798, c. 549r.

Sull’attività di Antonio da Sangallo il Giovane a Fano si veda (Menchetti 2002-2003).

Per l’opera di Bartolomeo e Scipione Campi si veda (Menchetti 1999 e 2005).

ASF, Mediceo del Principato, 807, I, cc. 216r–v.

Ibidem.

“Sarà con la scala secondo la sua intentione, se non ho fallito a scala, ma quando fusse, con questo ne può far fare con quale scala le piacerà, ASF, Mediceo del Principato, 807, I, cc. 216r–v.

ASF, Mediceo del Principato, 807, I, cc. 216r–v.

ASF, Mediceo del Principato, 807, II, c. 548r.

Del Monte nel manoscritto denominato Meditatiunculae Guidi Ubaldi (Bibliothèque Nationale de France, Parigi, ms. Lat. 10246, 1587–1592) descrive la traiettoria dei proietti mettendola in relazione con la linea descritta da una catenella sospesa tra due punti. Jürgen Renn insieme ad altri studiosi, ha riscontrato una stretta relazione tra le osservazioni di del Monte e la descrizione del secondo metodo menzionato da Galilei nei suoi Discorsi. Cfr. (Damerow et.al. 2001; Becchi 2006).

BOP, ms. 434, c. 15r. Per ulteriori chiarimenti su del Monte a Pesaro si veda (Menchetti 2009; Menchetti and Pelissetti 2012).